lunedì 28 novembre 2011

Il Bacio, Gustav Klimt, 1908

Olio su Tela 180x180, Osterreichische Galerie Belvedere, Vienna.
Quest'opera, in pieno accordo con i canoni dello Stile Liberty, è dipinta su tela con decorazioni e mosaici in color oro sullo sfondo.
L'uomo, in piedi, si piega per baciare la donna che sta inginocchiata sul prato tra i fiori e sembra accettare il bacio, partecipando emotivamente.
Solo la faccia e le braccia dei personaggi sono realistiche, il resto del quadro è formato da tinte piatte e volumi geometrici accostati. Il viso della donna è racchiusa fra le mani dell’uomo, il quale ha il braccio della femmina sul collo.
Klimt ha vestito, ed è curioso da notare, i suoi personaggi con la lunga tunica che era solito portare. La coppia è contornata da un ovale. Le forme geometriche sono abbastanza allusive, sul vestito dell'uomo vi sono raffigurati dei rettangoli posizionati in verticale, sul vestito della donna sono raffigurati dei cerchi concentrici, tutte e due le forme geometriche ricordano il sesso dei soggetti che indossano quelle tuniche. Nella parte d'oro che ricopre l'uomo vi sono figure rettangolari e in bianco e nero, mentre la donna sembra essere punteggiata con mazzi di fiori ed è caratterizzata da forme rotondeggianti e prive di ogni possibile spigolo.

domenica 27 novembre 2011

Leggere

A volte credo che i buoni lettori siano cigni
anche più tenebrosi e rari che i buoni autori...
Leggere, per intanto, è un'attività successiva a quella di scrivere:
più rassegnata, più civile, più intellettuale.
(Jorge Luis Borges)

Traffico?

Jungfrau (La Vergine), Gustav Klimt, 1912

Gustav Klimt, Jungfrau, 1913, Olio su tela 190x200cm, Narodni Galerie, Praga.

sabato 26 novembre 2011

Ufo

Danae, Gustav Klimt, 1907

Danae è un dipinto ad olio su tela di cm 77 x 83 realizzato tra il 1907 e il 1908 dal pittore austriaco Gustav Klimt dove viene affrontato un soggetto tratto dalla mitologia greca antica:
Danae fu fecondata nel sonno da Zeus, trasformatosi in pioggia d'oro.
L'artista rinuncia alla consueta struttura verticale a favore di uno sviluppo ellittico.
Infatti la donna è rappresentata rannicchiata in primo piano, ripiegata su sé stessa,
avvolta in una forma circolare, che rimanda alla maternità e alla fertilità universale.
 Serenità e pace si leggono sul volto e nella posizione fetale della fanciulla.
Danae diviene una fanciulla persa nel sonno e nella dimensione onirica,
totalmente dimentica di sé e in balìa dei propri istinti sessuali.
In nessun altro dipinto di Klimt la donna è così interamente identificata con la propria sessualità. Il corpo completamente abbandonato di Danae è circondato e ricoperto dai capelli,
da un velo orientaleggiante e sulla sinistra da una pioggia d'oro.
Nello scroscio della pioggia d'oro, che riecheggia di preziosismi bizantini, Klimt aggiunge un simbolo, un rettangolo verticale nero, che rappresenta il principio maschile.
L'opera fa parte di una collezione privata.

mercoledì 23 novembre 2011

domenica 20 novembre 2011

L'Aleph, Racconto di Jorge Luis Borges, 1961

A partire dal venerdì di buon'ora, il telefono cominciò a darmi preoccupazione.
M'indignava che quello strumento che un giorno aveva prodotto l'irrecuperabile voce di Beatriz, potesse abbassarsi a far da ricettacolo alle inutili e forse colleriche lagnanze dell'ingannato Carlos Argentino Daneri.
Fortunatamente, non accadde nulla - se si toglie il rancore inevitabile che m'ispirò quell'uomo che mi aveva imposto un incarico delicato e poi mi dimenticava.
Il telefono perdette il suo alone di terrore, ma alla fine di ottobre Carlos Argentino mi chiamò all'apparecchio.
Era agitatissimo; in un primo momento, non riconobbi la sua voce. Con tristezza e con ira balbettò che quegli smisurati Zunino e Zungri, col pretesto di ampliare la loro mostruosa pasticceria, volevano demolire la sua casa.
"La casa dei miei genitori, la mia casa, la vecchia cara casa di via Garay!" ripeté, dimenticando forse il suo dolore nella melodia.
Non mi fu difficile dividere la sua afflizione.
Passati i quarant'anni, ogni mutamento è un simbolo detestabile del passare del tempo; inoltre, si trattava di una casa che, per me, alludeva infinitamente a Beatriz.
Volli chiarire quella delicatissima sfumatura; il mio interlocutore non mi ascoltò.
Disse che se Zunino e Zungri persistevano nel loro assurdo proposito, il dottor Zunni, suo avvocato, li avrebbe querelati-ipso facto per danni, e li avrebbe obbligati a pagare centomila pesos.
Il nome di Zunni mi fece impressione; il suo studio, all'incrocio delle vie Caseros e Tacuari, è d'una serietà proverbiale.
Chiesi se l'avvocato avesse già assunto l'incarico.
Daneri disse che gli avrebbe parlato in giornata.

Esitò, e con quella voce piana, impersonale, alla quale siamo soliti ricorrere per confidare qualcosa di molto intimo, disse che la casa gli era indispensabile per terminare il poema, perché in un angolo della cantina c'era un Aleph. Spiegò che un Aleph é uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti.
"Si trova sotto la stanza da pranzo," spiegò, la dizione resa più veloce dalla pena. "E' mio, è mio; lo scoprii da bambino, prima che andassi a scuola. La scala della cantina è ripida, gli zii mi avevano proibito di scendervi, ma qualcuno aveva detto che c'era un mondo in cantina. Si riferiva, come seppi in seguito, a un baule, ma io capii un mondo. Scesi di nascosto, rotolai per la scala vietata, caddi. Quando aprii gli occhi, vidi l' Aleph."

"L'Aleph?" ripetei.

"Sì, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli. Non rivelai a nessuno la mia scoperta ma vi tornai ancora. Il bambino non poteva supporre che quel privilegio gli era accordato perché l'uomo portasse a perfezione il poema! Non mi spoglieranno Zunino e Zungri, no, mille volte no! Codice alla mano, il dottor Zunni proverà che il mio Aleph è inalienabile."
Cercai di ragionare :
"Ma non è buia la cantina?"
"La verità non penetra in un intelletto ribelle. Se tutti i luoghi della terra si trovano nell'Aleph, vi si troveranno tutti i lumi, tutte le lampade, tutte le sorgenti di luce."

"Vengo subito a vederlo."
Interruppi la comunicazione, prima che potesse vietarmelo.

Basta conoscere un fatto per avvertire immediatamente una serie di segni che lo confermano, prima insospettati; mi stupì non aver capito fino a quel momento che Carlos Argentino era pazzo. Tutti quei Viterbo, d'altronde... Beatriz (io stesso soglio ripeterlo) era una donna, una ragazza, d'una chiaroveggenza quasi implacabile, ma c'erano in lei negligenze, distrazioni, disdegni, vere crudeltà, che forse richiedevano una spiegazione patologica.
La pazzia di Carlos Argentino mi colmò di maligna felicità; intimamente, ci eravamo sempre detestati.
In via Garay, la cameriera mi disse di avere la bontà di attendere. Il bambino si trovava, come sempre, in cantina, a sviluppare fotografie. Vicino al vaso senza un fiore, sul pianoforte inutile, sorrideva (più intemporale che anacronistico) il grande ritratto di Beatriz, dipinto con goffi colori. Non poteva vederci nessuno; in una disperazione di tenerezza mi avvicinai al ritratto e gli dissi:
"Beatriz, Beatriz Elena, Beatriz Elena Viterbo, Beatriz amata, Beatriz perduta per sempre, son io, sono Borges."

Carlos entrò poco dopo.
Parlò con secchezza, compresi che non era capace d'altro pensiero che della perdita dell'Aleph.

"Un bicchierino di pseudo-cognac," ordinò, "e ti tufferai in cantina. Come sai, il decubito dorsale è indispensabile. Lo sono anche l'oscurità, l'immobilità, un certo adattamento dell'occhio. Ti sdrai sul pavimento di mattonelle e fissi lo sguardo sul diciannovesimo gradino della scala. Me ne vado, abbasso la botola e resti solo. Qualche roditore ti farà paura, ci vuol poco!
Dopo pochi minuti vedrai l'Aleph.
Il microcosmo di alchimisti e cabalisti, il nostro concreto amico del proverbio, il multum in parvo!"

Nella stanza da pranzo, aggiunse :
"Naturalmente, se non lo vedi, la tua incapacità non invalida la mia testimonianza...
Scendi; in breve potrai intavolare un dialogo con tutte le immagini di Beatriz."
Scesi sveltamente, stanco delle sue sciocchezze. La cantina, poco più larga della scala, somigliava molto a un pozzo.
Con lo sguardo, cercai invano il baule del quale Carlos Argentino mi aveva parlato.
Alcune casse con bottiglie e alcuni sacchi di tela occupavano un angolo. Carlos prese un sacco, lo piegò e lo dispose in un punto.
"Il guanciale è umile," spiegò, "ma se lo alzo d'un solo centimetro non vedrai nulla e rimarrai confuso e vergognoso.
Sdraia in terra questo corpaccio e conta diciannove scalini.
" Seguii le sue ridicole istruzioni; finalmente se ne andò. Chiuse cautamente la botola; l'oscurità, nonostante una fessura che in seguito distinsi, mi parve totale. Improvvisamente compresi il pericolo che correvo: m'ero lasciato sotterrare da un pazzo, dopo aver bevuto un veleno. Le bravate di Carlos svelavano l'intima paura ch'io non vedessi il prodigio; Carlos, per difendere il suo delirio, per non sapere che era pazzo, doveva uccidermi. Sentii un confuso malessere, che volli attribuire alla rigidità, e non all'effetto d'un narcotico.

Chiusi gli occhi, li riaprii. Allora vidi l' Aleph.

Arrivo, ora, all'ineffabile centro del mio racconto; comincia, qui, la mia disperazione di scrittore.

Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gl'interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l'infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia ?
I mistici, in simili circostanze, son prodighi di emblemi: per significare la divinità,un persiano parla d'un uccello che in qualche modo è tutti gli uccelli; Alanus de Insulis, di una sfera il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo; Ezechiele di un angelo con quattro volti che si dirige contemporaneamente a Oriente e a Occidente, a Nord e a Sud. (Non invano ricordo codeste inconcepibili analogie; esse hanno una qualche relazione con l'Aleph.) Forse gli dèi non mi negherebbero la scoperta d'una immagine equivalente, ma questa relazione resterebbe contaminata di letteratura, di falsità. D'altronde, il problema centrale è insolubile: l'enumerazione, sia pure parziale, d'un insieme infinito. In quell'istante gigantesco, ho visto milioni di atti gradevoli o atroci; nessuno di essi mi stupì quanto il fatto che tutti occupassero lo stesso punto, senza sovrapposizione e senza trasparenza.
Quel che videro i miei occhi fu simultaneo: ciò che trascriverò, successivo, perché tale è il linguaggio.
Qualcosa, tuttavia, annoterò. Nella parte inferiore della scala, sulla destra, vidi una piccola sfera cangiante, di quasi intollerabile fulgore. Dapprima credetti ruotasse; poi compresi che quel movimento era un'illusione prodotta dai vertiginosi spettacoli che essa racchiudeva. Il diametro dell'Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell'universo. Vidi il popoloso mare, vidi l'alba e la sera, vidi le moltitudini d'America, vidi un'argentea ragnatela al centro d'una nera piramide, vidi un labirinto spezzato (era Londra), vidi infiniti occhi vicini che si fissavano in me come in uno specchio, vidi tutti gli specchi del pianeta e nessuno mi riflette, vidi in un cortile interno di via Soler le stesse mattonelle che trent'anni prima avevo viste nell'andito di una casa di via Fray Bentos, vidi grappoli, neve, tabacco, vene di metallo, vapor d'acqua, vidi convessi deserti equatoriali e ciascuno dei loro granelli di sabbia, vidi ad Inverness una donna che non dimenticherò, vidi la violenta chioma, l'altero corpo, vidi un tumore nel petto, vidi un cerchio di terra secca in un sentiero, dove prima era un albero, vidi in una casa di Adrogue un esemplare della prima versione inglese di Plinio, quella di Philemon Holland, vidi contemporaneamente ogni lettera di ogni pagina (bambino, solevo meravigliarmi del fatto che le lettere di un volume chiuso non si mescolassero e perdessero durante la notte), vidi insieme il giorno e la notte dì quel giorno, vidi un tramonto a Queretaro che sembrava riflettere il colore dì una rosa nel Bengala, vidi la mia stanza da letto vuota, vidi in un gabinetto di Alkmaar un globo terracqueo posto tra due specchi che lo moltiplicano senza fine, vidi cavalli dalla criniera al vento, su una spiaggia del mar Caspio all'alba, vidi la delicata ossatura d'una mano, vidi i sopravvissuti a una battaglia in atto di mandare cartoline, vidi in una vetrina di Mirzapur un mazzo di carte spagnolo, vidi le ombre oblique di alcune felci sul pavimento di una serra, vidi tigri, stantuffi, bisonti, mareggiate ed eserciti, vidi tutte le formiche che esistono sulla terra, vidi un astrolabio persiano, vidi in un cassetto della scrivania (e la calligrafia mi fece tremare) lettere impudiche, incredibili, precise, che Beatriz aveva dirette a Carlos Argentino, vidi un'adorata tomba alla Chacarita, vidi il resto atroce di quanto deliziosamente era stata Beatriz Viterbo, vidi la circolazione del mio oscuro sangue, vidi il meccanismo dell'amore e la modificazione della morte, vidi l'Aleph, da tutti i punti, vidi nell'Aleph la terra e nella terra di nuovo l'Aleph e nell'Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, perché i miei occhi avevano visto l'oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l'inconcepibile universo.
Sentii infinita venerazione, infinita pena.

"Sarai rimasto di stucco, per aver curiosato tanto dove non ti spetta," disse una voce aborrita e gioviale. "Per quanto ti stilli il cervello, non mi pagherai in un secolo questa rivelazione. Che osservatorio formidabile, eh Borges!"

I piedi di Carlos Argentino occupavano lo scalino più alto. Nell'improvvisa penombra, riuscii ad alzarmi e a balbettare :
"Formidabile. Si, formidabile."
L'indifferenza della mia voce mi sorprese. Ansioso, Carlos Argentino insisteva: "L'hai visto bene, coi colori?"
In quell'istante concepii la mia vendetta.

Benevolo, manifestamente impietosito, nervoso, evasivo, ringraziai Carlos Argentino Daneri per l'ospitalità nella cartina e gli suggerii di profittare della demolizione della casa per allontanarsi dalla perniciosa metropoli, che non risparmia nessuno, credimi, nessuno!
Mi rifiutai, con dolce energia, di parlare dell'Aleph; lo abbracciai, nel congedarmi, e gli ripetei che la campagna e la tranquillità sono due grandi medici.

Per la via, per la scalinata di piazza della Costituzione, nella sotterranea, tutti i volti mi parvero familiari. Temetti che non fosse rimasta una sola cosa capace di sorprendermi, temetti che non mi avrebbe più abbandonato quell'impressione di tornare a tutte le cose.

Fortunatamente, dopo alcune notti d'insonnia, mi vinse di nuovo l'oblio.




sabato 12 novembre 2011

giovedì 3 novembre 2011

Natura morta con frutti e mandolino, Juan Gris, 1919



Juan Gris, Natura morta con frutti e mandolino 1919,  olio su tela, 92 x 65 cm. collezione privata, Parigi

Indefinita Divisibilità, Yves Tanguy, 1942

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Yves Tanguy, Indefinita Divisibilità, Olio su tela 89x102cm, 1942
Albright-Knox Art Gallery (Buffalo, NY, United States)

Nudo Reclinato, Tsuguharu Foujita, 1922


Tsuguharu (Léonard) Foujita Reclining Nude, 1922. Oil on canvas. 72 x 115 cm

mercoledì 2 novembre 2011