giovedì 27 ottobre 2016

Istanti,

Istanti
...
Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma vedete, ho 85 anni e so che sto morendo.

Poesia attribuita a Jorge Luis Borges

Rubens. The Lion Hunt, 1621

 
Peter Paul Rubens (1577-1640)
La Caccia al Leone, The Lion Hunt, La Chasse au Lion, lowenjagd, 1621
Alte Pinakothek, Munich, Germany

martedì 25 ottobre 2016

Il libro di Sabbia, Jorge Luis Borges

Il libro di sabbia
…thy  rope of sands…
George Herbert (1593‑1623)

La linea è costituita da un numero infinito di punti; il piano, da un numero infinito di linee; il volume, da un numero infinito di piani; l'ipervolume, da un numero infinito di volumi... No, decisamente non è questo, more geometrico, il modo migliore di iniziare il mio racconto. Affermare che sia veridico è oggi una convenzione di ogni racconto fantastico; il mio, tuttavia, è veridico.
Abito da solo, al quarto piano di un edificio di via Belgrano. Qualche mese fa, verso l’imbrunire, sentii bussare alla porta. Aprii ed entrò uno sconosciuto. Era un uomo alto, dai tratti confusi. Forse li vide così )a mia miopia. Tutto il suo aspetto rivelava una povertà decorosa. Era vestito di grigio e aveva in mano una valigia grigia. Sentii subito che era straniero. All'inizio mi sembrò vecchio; dopo mi accorsi che ero stato ingannato dai suoi scarsi capelli biondi, quasi bianchi, alla maniera scandinava. Nel corso della nostra conversazione, che sarebbe durata meno di un'ora, venni a sapere che proveniva dalle Orcadi.
L'invitai a sedersi. L'uomo rimase in silenzio per qualche istante. Esalava malinconia, come me adesso.
« Vendo bibbie » mi disse.
Non senza pedanteria gli risposi:
« In questa casa ci sono alcune bibbie inglesi, inclusa la prima, quella di John Wiclif. Ho anche quella di Cipriano de Valera, quella di Lutero, che dal punto di vista letterario è la peggiore, e una copia della Vulgata latina. Come lei può vedere, non sono proprio le bibbie quel che mi manca. »
Ci fu un silenzio e poi mi rispose:
« Non vendo soltanto bibbie, Posso farle vedere un libro sacro che forse le interesserà. L'ho acquistato ai confini di Bikaner. »
Aprì la valigia e lo posò sopra il tavolo. Era un volume in ottavo, rilegato in tela. Senza dubbio era passato per molte mani. Lo esaminai; il suo insolito peso mi meravigliò. Sul dorso c'era scritto Holy Writ, e sotto Bombay.
« Sarà del diciannovesimo secolo » osservai.
« Non lo so. Non l'ho mai saputo » rispose.
Lo aprii a caso. La scrittura mi era sconosciuta. Le pagine, che mi sembrarono consumate e di tipografia scadente, erano stampate su due colonne alla maniera di una bibbia. Il testo era fitto ed era ordinato in versetti. Sugli angoli superiori delle pagine c'erano numeri arabi. Mi colpì che la pagina pari portasse il numero (mettiamo) 40.514 e la seguente pagina dispari il numero 999. La voltai; l'altro lato aveva un numero di otto cifre. Vi era una piccola illustrazione, come si vede spesso nei dizionari: un'ancora disegnata a penna, come dalla mano maldestra di un bambino.
Fu allora che lo sconosciuto mi disse:
« La guardi bene. Non la vedrà mai più. »
C'era una minaccia nell'affermazione, ma non nella voce. Chiusi il volume osservando in che punto lo avevo aperto. Subito dopo lo riaprii. Inutilmente cercai la figura dell'ancora. Per nascondere la mia perplessità, gli dissi:
« Si tratta di una versione delle Scritture in qualche lingua indostanica, non è vero? »
« No » mi replicò.
Poi abbassò la voce come per confidarmi un segreto:
« L'ho acquistato in un villaggio della pianura, in cambio di qualche rupia e della Bibbia. Colui che lo possedeva non sapeva leggere. Ho l'impressione che abbia visto il Libro dei Libri come un amuleto. Apparteneva alla casta più bassa; nessuno poteva calpestare la sua ombra senza contaminarsi. »
Mi disse che il suo libro si chiamava il Libro di Sabbia,. perché quel libro e la sabbia non hanno né principio né fine.
Mi disse di cercare la prima pagina.
Con la mano sinistra sopra il frontespizio, cercai la prima pagina con il pollice quasi incollato all'indice. Tutto fu inutile: tra il frontespizio e la mano si interponevano sempre nuovi fogli. Era come se sorgessero dal libro.
« Adesso cerchi la fine. »
Fallii di nuovo; riuscii appena a balbettare con una voce che non era la mia:
« Non è possibile. »
Sempre sottovoce, il venditore di bibbie mi disse:
« Non è possibile, ma è. Il numero di pagine di questo libro è esattamente infinito. Nessuna è la prima, nessuna è l'ultima. Non so perché siano numerate in questo modo arbitrario. Forse per suggerire che i termini di una serie infinita ammettono qualsiasi numero. »
Poi, Come se pensasse a voce alta:
« Se lo spazio è infinito, noi siamo in qualsiasi punto dello spazio, Se il tempo è infinito, siamo in qualsiasi punto del tempo. »
Le sue considerazioni mi irritarono. Gli domandai:
« Lei è religioso, non è vero? »
« Sì, sono presbiteriano. La mia coscienza è limpida. Sono sicuro di non avere imbrogliato l'indigeno quando gli diedi la Parola del Signore in cambio del suo libro diabolico. »
Gli assicurai che rio, aveva nulla da rimproverarsi, e gli domandai se era di passaggio in questa città, mi rispose che di lì a pochi giorni pensava di ritornare in Patria. Fu allora che seppi che era scozzese, delle isole Orcadi. Gli dissi che io la Scozia l'amavo personalmente per via di Stevenson e di Hume.
« E di Robbie Burns » corresse.
Mentre parlavamo io continuavo a esplorare il libro infinito. Con finta indifferenza gli domandai:
« Lei si propone di offrire questo bizzarro esemplare al Museo Britannico? »
« No. Lo offro a lei » mi replicò, e fissò una somma elevata.
Gli risposi, con tutta verità, che quella somma era inaccessibile per me e rimasi a pensare. Dopo qualche minuto avevo già ordito il mio piano.
« Le propongo uno scambio » gli dissi. « Lei ha ottenuto questo volume per qualche rupia e per le Sacre Scritture; io le offro l'ammontare della mia liquidazione che ho appena riscosso, e la Bibbia di Wiclif in caratteri gotici. L'ho ereditata dai miei genitori. »
« A black letter Wiclif! » mormorò.
Andai nella mia stanza da letto a prendere il denaro e il libro. Sfogliò le pagine e studiò la copertina con fervore di bibliofilo.
« Affare fatto » mi disse.
Mi meravigliai che non mercanteggiasse. Soltanto dopo avrei capito che era entrato in casa mia deciso a vendere il libro. Non contò le banconote, e le mise in tasca.
Parlammo dell'India, delle Orcadi e degli jarls norvegesi che le governarono. Era già notte quando l'uomo se ne andò. Non l'ho più rivisto e non so nemmeno suo nome.
Pensai di mettere il Libro di Sabbia nello spazio vuoto lasciato dal Wiclif, ma alla fine decisi di nasconderlo dietro alcuni volumi delle Mille e Una Notte.
Andai a letto e non dormii. Verso le tre o le quattro del mattino accesi la luce. Andai a prendere il libro impossibile e lo sfogliai. Su una pagina vidi stampata una maschera. In un angolo c'era un numero, non so più quale, elevato alla nona potenza.
Non feci vedere a nessuno il mio tesoro. Alla gioia di possederlo si aggiunse il timore che lo rubassero, e poi il sospetto che non fosse veramente infinito. Queste due inquietudini aggravarono la mia ormai antica misantropia. Mi erano rimasti alcuni amici; smisi di vederli. Prigioniero del Libro, non uscivo quasi più di casa. Esaminai con una lente il dorso logoro e le copertine, ed esclusi la possibilità di un trucco, Scopri che le piccole illustrazioni erano distanti duemila pagine l'una dall'altra. Incominciai a registrarle su un taccuino alfabetico, che in poco tempo riempii. Non si ripeterono mai. Di notte, durante i brevi intervalli che mi concedeva l'insonnia, sognavo il libro.
Verso la fine dell'estate capii che il libro era mostruoso. A nulla valse considerare che non meno mostruoso ero io, che lo percepivo con occhi e lo palpavo con dieci dita provviste di unghie. Sentii che era un oggetto da incubo, una cosa oscena che infamava e corrompeva la realtà.
Pensai al fuoco, ma ebbi paura che la combustione di un libro infinito fosse altrettanto infinita e soffocasse con il fumo il pianeta.
Ricordai di avere letto che il luogo migliore per nascondere una foglia è un bosco. Prima di andare in pensione lavoravo nella Biblioteca Nazionale, che conserva novecentomila libri; so che a destra del vestibolo una scala curva si immerge nello scantinato, dove si trovano i periodici e le carte geografiche. Approfitti di una distrazione degli impiegati per perdere il Libro di Sabbia in uno di quegli umidi scaffali. Cercai di non osservare né a che altezza né a che distanza dalla porta.
Provo un po' di sollievo, ma non voglio nemmeno passare per via México.

Jorge Luis Borges. 1975