giovedì 29 settembre 2011

Bohemian Rapsody, starring The Muppets


The original song has been issued by the Queen, 1975
5

Dusk

Maiali..

Vieni fuori, fifone!!

Il Disordine

Ma procediamo con disordine. Il disordine dà qualche speranza.
L'ordine nessuna. Niente è più ordinato del vuoto.


Marcello Marchesi 1912-1978

Il Segreto

Il segreto per andare d'accordo con le donne
è avere torto.

Achille Campanile 1899-1977

Méditation sur une feuille de chêne, Andrè Masson, 1942

Meditation on an oak leaf, quadro preferito di Jackson Pollock (post precedente) 

Convergence, Jackson Pollock, 1952

Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, USA

Dinamismo di un Ciclista, Umberto Boccioni, 1913

Idee

Nulla è più pericoloso di un'idea, quando è l'unica che abbiamo
Alain (Émile Charter) 1868-1951

mercoledì 28 settembre 2011

Nuvolari vince al Tigullio a modo suo, 13 Aprile 1924,

Nel 1924, al GP del Circuito del Tigullio, in Liguria
Nuvolari condusse una gara estremamente tirata,
uscendo spesso di pista e fermandosi, in alcuni casi, a picco sul mare.
A pochi giri dall’arrivo, si stacca una ruota e la sua "Bianchi 18"
finisce malamente in un fosso.
Il meccanico rimane svenuto e non può rimettere insieme la vettura,
quindi Nuvolari chiede aiuto agli spettatori.
Dopo averla rimessa assieme alla meno peggio,
carica in macchina il meccanico privo di sensi,
riparte e vince la gara,  superando De Sterlich su Bugatti
e nel finale Ballestrero su OM per 18 secondi.

Gli spettatori al traguardo, comunque,
assistono ad uno spettacolo che ha dell’incredibile:
il mantovano vince la corsa su un’auto ormai sui cerchioni
e senza seggiolino di guida né volante,
sostituito da Nuvolari con una chiave inglese,
col meccanico ancora svenuto al fianco.


martedì 27 settembre 2011

Orfeo Trovatore Stanco, Giorgio De Chirico, 1970

Ritratto di Marie Therese Walter, Pablo Picasso, 1937

Nuvolari e L'Alfa Romeo 16C Bimotore, 15 Giugno 1935

Il 15 Giugno 1935 Tazio Nuvolari tenta di battere due primati mondiali di velocità sull’Autostrada Firenze-Mare, utilizzando la “mostruosa” Alfa Romeo“bimotore”, creata da Enzo Ferrari
per resistere alle imbattibili Mercedes ed AutoUnion Tedesche.
La giornata scelta per il tentativo è poco felice poiché tira un forte vento,
Nuvolari però prova ugualmente e parte.
Mentre la macchina viaggia a circa 320 km/h, viene investita lateralmente da una forte raffica di vento che causa una spaventosa sbandata di oltre 200 metri,
Nuvolari riesce comunque a controllare l’auto dimostrando una freddezza ed un’energia fuori dal comune,
c'è da notare che l’auto pesa 1300kg ed è molto difficile da controllare già a 150 km/h.
Nonostante lo spaventoso “imprevisto” Tazio prosegue,
neutralizza un’altra analoga sbandata poco dopo, e stabilisce due primati:
percorre in 11 secondi il chilometro lanciato alla media di 321,420 km/h,
e in 17 secondi il miglio lanciato con media di 323,125 km/h
(con una punta, nell’ultimo tratto percorso, di oltre 360 km/h!!!!!!!!!!!!!!).
«Non avevo mai affrontato un pericolo così tremendo, nemmeno il giorno in cui presi fuoco a Pau», dichiarerà anni dopo ricordando l’episodio.


L'Alfa Romeo 16C Bimotore del 1935 della scuderia di Enzo Ferrari,
2 motori 8 cilindri Alfa Romeo da 3165 cc, uno davanti ed uno dietro al posto di guida
guardate le ruote ed immaginatela a 360kmh...

        La potete vedere in video qui :   http://youtu.be/ME3m1Rz2RzE

Notate come il pilota che la prova ai giorni nostri abbia già le sue difficoltà a tenerla in strada agli 80-100 all'ora.

Angelo di fuoco, Max Ernst, 1937

lunedì 26 settembre 2011

Tazio Nuvolari, un mito.

 1932
Tazio Nuvolari è nato a Castel d'Ario il 16 novembre 1892 e si è spento a Mantova l'11 agosto 1953.
Ha iniziato a correre a 28 anni, nel 1920, ed ha continuato a farlo, prima in moto e poi in auto, fino al 1950.
A 58 anni ha disputato la sua ultima gara, vincendola.
Nel corso della sua lunga vita sportiva ha partecipato a ben 353 competizioni, 124 in motocicletta e 229 in automobile, conquistando 105 vittorie assolute e 77 di classe e facendo registrare per 100 volte il giro più veloce.
E' stato 7 volte campione italiano ed ha conquistato 5 primati internazionali di velocità,
stabilendo nel 1935 il record dei 330,275 kilometri orari.
E' stato anche coinvolto in numerosi gravi incidenti, riportando ferite e fratture in tutto il corpo.
Ha rischiato di morire bruciato vivo nel rogo della sua macchina o di rimanere schiacciato dal peso della vettura.
Ma nulla lo ha mai fermato. Le sue imprese hanno fatto di lui una leggenda.
 

Enzo Ferrari lo ha definito "il più grande di tutti" .
Ferdinand Porsche lo considerava "il più grande pilota del passato, del presente, del futuro" .

Nuvolari con Enzo Ferrari, a sinistra. 
Al Traguardo senza volante

venerdì 16 settembre 2011

Velocità astratta (è passata l'automobile), Giacomo Balla, 1913

Fotografia e Pittura

Data l'esistenza della fotografia e della cinematografia,
la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno.
Giacomo Balla, Manifesto del colore, 1918
Giacomo Balla, Pittore Futurista, 1871-1958



 

Fotografare


Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l'occhio e il cuore.
Henri Cartier-Bresson 1908-2004

New York, Henri Cartier-Bresson, 1962

Non allarmatevi, gente. .... é completamente innocuo
a meno che qualcosa non lo spaventi

Le regard oblique, Robert Doisneau, 1948

Le regard oblique (boutique de Romi) Rue de Seine, Paris 6è, 1948
notare lo sguardo 'obliquo' di lui...

Le Baiser de l'Hôtel de Ville, Robert Doisneau, 1950

La fotografia del bacio presso l'Hôtel de Ville, che è probabimente la più famosa di  Robert Doisneau, è stata scattata nel 1950, l'identità dei soggetti al centro ella scena  
fu un mistero fino al 1993, quando Denise e Jean-Louis Lavergne per provare ad ottenere denaro denunciarono l'artista per averli fotografati senza la loro volontà.
Questo portò Doisneau ad ammettere che i due personaggi dell'opera erano Françoise Bornet e Jacques Carteaud, due attori e modelli, all'epoca, Françoise venne pagata in parte con una stampa originale, che nell'aprile del 2005 vendette per 155.000euro.

martedì 13 settembre 2011

venerdì 9 settembre 2011

La gargouille de Notre Dame, Robert Doisneau, 1969

Yabba-dabba-doo

Ho Sentito ogni tipo di suono uscire da questi,
ma Yabba-Dabba-Doo per me è una novità.

La logica matematica è indiscutibile..

Traduzioni
Femme = Donna = Woman
Temps = Tempo = Time
Argent = Denaro = Money
Racine = Radice = Root
Si parte dal concetto che per ottenere una donna sono necessari tempo e denaro,
assioma indiscutibile, poi la logica matematica non lascia spazio a discussioni.

giovedì 8 settembre 2011

Moon

La scrittura del Dio (La escritura del Dios), Jorge Luis Borges 1949

Il carcere è profondo e di pietra; la sua forma, quella di un emisfero quasi perfetto, perché il pavimento (anch’esso di pietra) è un po’ minore di un cerchio massimo, il che aggrava in qualche modo i sentimenti di oppressione e di vastità.
Un muro lo taglia a metà; esso, benché sia altissimo, non tocca la volta.
Da un lato sto io, Tzinacàn, mago della piramide di Qaholom, che Pedro de Alvarado incendiò; dall’altro è un giaguaro, che misura con segreti passi uguali il tempo e lo spazio della prigione.
Al livello del suolo, una lunga finestra munita di spranghe taglia il muro centrale. Nell’ora senz’ombra, si apre in alto una botola e un carceriere logorato dagli anni manovra una puleggia di ferro e ci cala, mediante una corda, brocche d’acqua e pezzi di carne. La luce entra dalla volta; in quell’istante posso vedere il giaguaro.

Ho perduto il conto degli anni che giaccio nelle tenebre; io, che una volta ero giovane e potevo camminare per questa prigione, non faccio che aspettare, nella posizione della mia morte, la fine che mi destinano gli dèi. Con il profondo coltello di pietra ho aperto il petto delle vittime, e ora non potrei, se non per magia, alzarmi dalla polvere.

Il giorno prima dell’incendio della Piramide, gli uomini che erano scesi da alti cavalli mi torturarono con ferri ardenti perché rivelassi il luogo dov’era nascosto il tesoro. Abbatterono, davanti ai miei occhi, l’immagine del dio, ma questi non mi abbandonò e io rimasi silenzioso fra i tormenti. Mi lacerarono, mi spezzarono, mi deformarono, e infine rinvenni in questo carcere, che non lascerò più nella mia vita mortale.

Spinto dalla necessità di far qualcosa, di popolare in qualche modo il tempo, volli ricordare, nella mia ombra, tutto quel che sapevo. Notti intere consumai a ricordare l’ordine e il numero di certi serpenti di pietra o la forma di un albero medicinale. Così andai debellando gli anni, così rientrai in possesso di quanto era già mio. Una notte sentii che mi avvicinavo a un ricordo prezioso; prima di vedere il mare, il viaggiatore avverte un’agitazione nel sangue. Ore più tardi, cominciai ad avvistare il ricordo; era una delle tradizioni del dio. Questi, prevedendo che alla fine dei tempi sarebbero occorse molte sventure e rovine, scrisse nel primo giorno della Creazione una sentenza magica, atta a scongiurare quei mali. La scrisse in modo che giungesse alle più remote generazioni e che non la toccasse il caso. Nessuno sa in quale punto l’abbia scritta né con quali caratteri, ma ci consta che perdura, segreta, e che la leggerà un eletto. Considerai che eravamo, come sempre, alla fine dei tempi e che il mio destino di ultimo sacerdote del dio mi riserbava il privilegio di decifrare quella scrittura. Il fatto che un carcere mi circondasse non mi vietava tale speranza; forse io avevo visto migliaia di volte l’iscrizione di Qaholom e non dovevo che capirla.

Questa riflessione mi animò e poi mi dette una specie di vertigine. Nell’ambito della terra esistono forme antiche, forme incorruttibili ed eterne; una qualunque di esse poteva essere il simbolo che cercavo. Una montagna poteva essere la parola del dio, o un fiume o l’impero o la configurazione degli astri. Ma nel corso dei secoli le montagne si livellano e il percorso di un fiume suole mutare, gl’imperi conoscono cambiamenti e la figura degli astri varia. Nel firmamento avvengono mutamenti. La montagna e la stella sono individui e gli individui sono caduchi. Cercai qualcosa di più tenace, di più invulnerabile. Pensai alle generazioni dei cereali, dei pascoli, degli uccelli, degli uomini. Forse nel mio volto era scritta la magia, forse io stesso ero il fine della mia ricerca. Ero in questo travaglio quando ricordai che il giaguaro era uno degli attributi del dio.

Allora la mia anima si riempì di pietà. Immaginai la prima mattina del tempo; immaginai il mio dio mentre affidava il messaggio alla pelle viva dei giaguari, che si sarebbero amati e generati senza fine, in caverne, in canneti, in isole, affinché gli ultimi uomini lo ricevessero. Immaginai la rete delle tigri, il caldo labirinto delle tigri, spargere l’orrore per i prati e tra le greggi perché fosse conservato un disegno. Nell’altra cella era un giaguaro; nella sua vicinanza ravvisai una conferma della mia supposizione e un segreto favore.

Dedicai lunghi anni a imparare l’ordine e la configurazione delle macchie. Ogni cieca giornata mi concedeva un istante di luce, e così potei fissare nella mia mente le nere forme che macchiavano il pelame giallo. Alcune racchiudevano punti; altre formavano linee trasversali nella parte interna delle zampe; altre, a disegno anulare, si ripetevano. Forse erano uno stesso suono o una stessa parola. Molte avevano orli rossi.

Non dirò la stanchezza della mia fatica. Spesso gridai alla volta che era impossibile decifrare quel testo. Gradatamente l’enigma concreto che mi occupava m’inquietò meno che l’enigma generale di una sentenza scritta da un dio. Quale tipo di sentenza – mi chiesi – costruirà una mente assoluta? Considerai che anche nei linguaggi umani non c’è proposizione che non implichi l’universo intero; dire “la tigre” è dire le tigri che la generarono, i cervi e le testuggini che divorò, il pascolo di cui si alimentarono i cervi, la terra che fu madre del pascolo, il cielo che dette luce alla terra. Considerai che nel linguaggio di un dio ogni parola deve enunciare questa infinita concatenazione dei fatti, e non in modo implicito ma esplicito, non progressivo ma immediato. Con il tempo, l’idea di una sentenza divina mi parve puerile o empia. Un dio – riflettei – deve dire solo una parola, e in quella parola la pienezza. Nessuna voce articolata da lui può essere inferiore all’universo o minore della somma del tempo. Ombre o simulacri di quella voce che equivale a un linguaggio, sono le ambiziose e povere voci umane tutto, mondo, universo.

Un giorno o una notte – tra i miei giorni e le mie notti, che differenza c’è? – sognai che sul pavimento del carcere c’era un granello di sabbia. Mi riaddormentai, indifferente; sognai che mi destavo e che i granelli di sabbia erano due. Mi riaddormentai; sognai che i granelli di sabbia erano tre. Si andarono così moltiplicando fino a colmare il carcere e io morivo sotto quell’emisfero di sabbia. Compresi che stavo sognando; con un grande sforzo mi destai. Fu inutile; l’innumerevole sabbia mi soffocava. Qualcuno mi disse: “Non ti sei destato alla veglia ma a un sogno precedente. Questo sogno è dentro un altro, e così all’infinito, che è il numero dei granelli di sabbia. La strada che dovrai percorrere all’indietro è interminabile e morrai prima di esserti veramente destato”.

Mi sentii perduto. La sabbia mi rompeva la bocca, ma gridai: “Una sabbia sognata non può uccidermi, né ci son sogni che stiano dentro sogni”. Uno splendore mi destò. Nella tenebra sopra di me si librava un cerchio di luce. Vidi il volto e le mani del carceriere, la ruota di ferro, la corda, la carne e le brocche. Un uomo si confonde, gradatamente, con la forma del suo destino; un uomo è, alla lunga, ciò che lo determina. Più che un decifratore o un vendicatore, più che un sacerdote del dio, io ero un prigioniero. Dall’inesauribile labirinto di sogni tornai, come a una casa, alla dura prigione. Benedissi la sua umidità, benedissi il suo giaguaro, benedissi il foro della luce, benedissi il mio vecchio corpo dolente, benedissi la tenebra e la pietra.

Allora avvenne quel che non posso dimenticare né comunicare. Avvenne l’unione con la divinità, con l’universo (non so se queste parole differiscono). L’estasi non ripete i suoi simboli; c’è chi ha visto Dio in una luce, c’è chi lo ha scorto in una spada o nei cerchi di una rosa. Io vidi una Ruota altissima, che non stava avanti ai miei occhi né dietro né ai lati, ma in ogni parte a un tempo. Quella Ruota era fatta di acqua, ma anche di fuoco, e (benché si vedesse il bordo) era infinita. Intrecciate fra loro, la formavano tutte le cose che saranno, che sono e che furono, ed io ero uno dei fili di quella trama totale, e Pedro de Alvarado, che mi fece tormentare, era un altro. Lì erano le cause e gli effetti e mi bastava vedere quella Ruota per comprendere tutto, senza fine. Oh gioia di comprendere, maggiore di quella di operare o di sentire. Vidi l’universo e vidi gl’intimi disegni dell’universo. Vidi le origini che narra il Libro della Tribù. Vidi le montagne che sorsero dall’acqua, vidi i primi uomini di legno, vidi i vasi che si ribellarono agli uomini, vidi i cani che lacerarono loro la faccia. Vidi il dio senza volto che sta dietro gli dèi. Vidi infiniti processi che formavano una sola felicità e, comprendendo ormai tutto, potei anche capire la scrittura della tigre.

È una formula di quattordici parole casuali (che sembrano casuali) e mi basterebbe pronunciarla ad alta voce per essere onnipotente. Mi basterebbe dirla per abolire questo carcere di pietra, perché il giorno invadesse la mia notte, per essere giovane e immortale, perché il giaguaro lacerasse Alvarado, per affondare il santo coltello in petti spagnoli, per ricostruire la piramide e l’impero. Quaranta sillabe; quattordici parole, e io, Tzinacàn, governerei le terre governate da Moctezuma. Ma so che mai dirò quelle parole, perché non mi ricordo più di Tzinacàn.

Muoia con me il mistero che è scritto nelle tigri. Chi ha scorto l’universo, non può pensare a un uomo, alle sue meschine gioie o sventure, anche se quell’uomo è lui. Quell’uomo è stato lui e ora non gl’importa più. Non gl’importa la sorte di quell’altro, non gl’importa la sua azione, poiché egli ora è nessuno. Per questo non pronuncio la formula, per questo lascio che i giorni mi dimentichino, sdraiato nelle tenebre.